Un filo chirurgico che chiude un buco nel cuore (chiusura percutanea di forame ovale cardiaco) senza l’utilizzo di device metallici: è questa la tecnica innovativa mini-invasiva inventata dall’ingegnere americano prof. Antony Nobles che è stata praticata nei giorni scorsi su due pazienti di 38 e 42 anni dai cardiologi dell’Azienda Ospedaliera di Perugia.
Nella sala operatoria di Emodinamica della Cardiologia di Perugia, un uomo di 42 anni e una donna di 38 anni, affetti da ictus ischemico, sono stati sottoposti a un delicato intervento percutaneo per mano degli specialisti, i cardiologi dottor Rocco Sclafani (direttore facente funzioni della Cardiologia) e il dottor Salvatore Notaristefano, con il supporto dell’inventore della procedura Antony Nobles. Un intervento delicato che prevede la chiusura del forame ovale pervio utilizzando il NobleStitch, invece del dispositivo metallico.
“Si tratta di un filo di sutura chirurgico – spiega Rocco Sclafani – che entra per via percutanea attraverso la vena della gamba e viaggia verso il cuore sotto la guida di fluoroscopia (X-ray) per chiudere il tunnel. L’efficacia della procedura per la chiusura del FOP è paragonabile a quella dell’intervento chirurgico ma con minori complicazioni e minore ospedalizzazione. L’intervento può richiedere meno di 20 minuti. In medicina si parla di FOP, forame ovale pervio (aperto), quando la chiusura anatomica alle due camere cardiache, che avviene subito dopo la nascita, risulta imperfetta, quindi si interviene per via percutanea per correggere questa anomalia così da evitare nuovi episodi ischemici o prevenirli del tutto. Il confronto diretto con il prof. Nobles, inventore della metodica, è stato molto utile per implementare ulteriormente l’efficacia di tale terapia innovativa, già praticata da qualche anno presso il nostro ospedale, per la prevenzione delle recidive di ictus in pazienti molto giovani”.
“La possibilità di chiudere FOP con una sutura invece di un dispositivo metallico ha molti vantaggi evidenti – afferma Nobles –, il più importante è che non c’è bisogno di lasciare una protesi metallica ingombrante nel cuore; significa nessun rischio di embolizzazione, danno miocardico, endocardite, allergie e necessità di trattamento farmacologico con potenziali effetti collaterali. Sono convinto che questa tecnologia può essere applicata per altre malattie cardiache strutturali e valvolari”. (fotografia: dal sito internet azienda ospedaliera di Perugia)